É la notte del 16 marzo 1955: Nicolas De Staël apre la finestra del suo atelier ad Antibes e si fa precipitare nel vuoto. Aveva solo 41 anni.
Lui se ne va, ma rimangono i suoi grigi e i suoi blu per sempre.
Emile Cioran, su di lui, così scriveva:
Il suo suicidio ha lasciato tutti perplessi. Come spiegarlo? Lo straordinario non ha bisogno di commento. Si può tuttavia fare un’ipotesi che sarà una risposta soltanto per coloro che hanno affrontato l’abisso delle notti in bianco. De Staël conosceva questo abisso da iniziato, da specialista della vertigine. Rimpiangerò sempre di aver ignorato la misura delle sue prove. Se l’avessi intuita sarei sicuramente diventato suo amico, giacché esiste una complicità fra gli insonni, fra questi maledetti puniti per reato di lucidità. […]
Ancora giovane – aveva soltanto quarantuno anni, era giunto al termine di sé stesso. Dopo tutto avrebbe potuto rinunciare alla pittura, cessare senza dramma di puntare su sé stesso, e abbandonarsi a un nulla qualsiasi, dunque tollerabile. Ma non ha voluto sopravvivere a sé stesso, odiava la rassegnazione. Da vero artista, si è rifiutato di venire a patti con la mediocrità della saggezza.
(da un articolo di Emile Cioran, Nicolas de Staël, la morte arriva da una tela bianca, Corriere della Sera, 13 maggio 1994)
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