Le pieghe di Steinberg

Le pieghe sono affascinanti: sono la sensualità dei bambini. Van Gogh era ossessionato dalle orecchie perché contenevano tutte le pieghe: le vesti, le forme femminili. Una forma di erotismo. Le pieghe dicono tutto, perfino troppo: una delle maggiori preoccupazioni dei pittori è quella di assicurarsi che le loro pieghe non celino simboli inconsapevoli. E poi le pieghe si ricollegano alla più antica delle arti, l’imbalsamazione. Le pieghe imbalsamano la realtà, e così facendo la deificano o la sublimano. Le pieghe migliori che abbia mai visto erano in un ritratto di Lenin. Le sedie drappeggiate sono come le nuvole nelle apoteosi – ascensioni o assunzioni – delle Madonne di Raffaello o di Rubens. La storia dell’arte, stando agli storici, è un’opera di imbalsamazione. Solo i santi che sono stati davvero imbalsamati si salvano: lo stesso vale per gli artisti. Amiamo le reliquie, non i vivi. I vivi danno fastidio. Le Chiese amano quelli che hanno già ricevuto l’estrema unzione, non i martiri. E i musei anche: sono delle accademie di imbalsamazione. Producono cultura, non arte.

(Saul Steinberg, in Pierre Schneider, Louvre mon amour. Undici grandi artisti in visita al museo più famoso del mondo, ed. Johan & Levi, Milano 2012)

Giuseppe Sanmartino, “Il Cristo velato”, 1753, Cappella Sansevero a Napoli – Foto di David Sivyer, 2009 (Licenza Creative Commons)

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