Penso a certe antiche case povere dei paesi del Sud, minacciate dall’umidità, prive di comfort, piene d’ombra, con finestrelle che sembrano temere il caldo e la luce e chiudono fuori i luminosi paesaggi del mare e degli ulivi. Case dove si vive stretti e in cui spesso la reciproca insofferenza di chi le abita dà alla vita quotidiana l’angoscia della reclusione. Ma in ognuna di esse una piccola scala annerita dal tempo conduce al tetto piatto, dove si può sostare: un terrazzo privo di ringhiere, che obbliga a stare sul chi vive, perché basta un passo sbagliato per precipitare. Una casa con un tetto piatto su cui incombe il cielo. E dove ciascuno può dialogare con se stesso perdendosi con lo sguardo oltre l’orizzonte. Simile a questa casa è per me, in una sola parola, il teatro.
(Eugenio Barba, da Il cielo del teatro, discorso in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa dalla Accademia di Musica e Teatro d’Estonia, Tallinn 27 maggio 2009)
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Il teatro, mi viene in mente il teatro circolare di Shakespeare, anch’esso sopra di esso il cielo.
Beh, Barba conosce bene quel teatro!