– L.V.: Lei ha detto di essersi salvato la vita dicendo a suo padre che non avrebbe lavorato con lui.
– Michele Mari: Credo di sì. Credo sia stata una delle scelte più sagge che ho fatto. A me, tra l’altro, piaceva molto: quando andavo nel suo studio disegnavo, usavo i suoi strumenti, a volte lui stesso mi affidava qualche piccolo compito: lavoravo col Vinavil, il filo di ferro, la plastilina. Erano momenti belli e credo che per un certo periodo lui abbia dato per scontato che avrei proseguito la sua strada, anche perché suo fratello minore lavorava con lui e quindi io sarei stato il terzo Mari del gruppo. Tra l’altro, ci assomigliavamo fisicamente molto. A volte avevo paura perché temevo che la cosa sarebbe diventata troppo scontata per poi riuscire a sfilarsi, fino a che ci fu questa memorabile conversazione nel 1974, il giorno dopo la mia maturità. Non mi fece neanche godere la fine degli esami, mi convocò in studio la mattina dopo per mezzogiorno perché voleva intavolare la questione del mio futuro. Io ero agitatissimo ma sentivo che dovevo tenere i nervi saldi e non crollare, e infatti ci sono riuscito.
(da Tutti i mostri sono amici, conversazione con Michele Mari e Francesco Bianconi di Luca Valtorta, pubblicata da La Repubblica il 25/06/2017 e aggiornata il 11/11/2019)
